Servizi pubblici: costi e benefici

 

Il cosiddetto “popolo delle carrozzine” sta in questi giorni manifestando nelle piazze delle città dell’Emilia-Romagna per difendere i nidi d’infanzia comunali dalla dolorosa scelta fra taglio del servizio o aumento delle tariffe cui li ha obbligati il drastico taglio dei trasferimenti agli enti locali effettuato per il prossimo biennio dal duo Berlusconi-Tremonti. Taglio che, peraltro, si abbatterà su tutto il welfare locale, dall’infanzia, alla disabilità, ai trasporti, cultura etc…

Alle famiglie tutta la nostra solidarietà per un servizio assolutamente necessario al mantenimento delle donne nel mondo del lavoro, non dimentichiamo che la nostra regione è la prima nel paese per tasso di occupazione femminile, l’unica che si avvicina ai livelli nord-europei.

Gli amministratori, però, non possono limitarsi a denunciare i tagli. Lo stato delle finanze del paese è noto, il debito pubblico un peso sempre meno sostenibile, la pressione fiscale non più aumentabile, anche se avrebbe bisogno di un grosso riequilibrio a favore del lavoro dipendente e del capitale investito in attività produttive a scapito delle rendite e delle ricchezze patrimoniali non produttive.

Il problema di un giusto rapporto costi/benefici, sempre accantonato perché mette in gioco grandi e piccole rendite di posizione, non è più dilazionabile. Dalla sua soluzione dipende il mantenimento del livello dei servizi raggiunto e di un suo auspicabile miglioramento.

Restiamo nel campo dei nidi che esemplifica bene la situazione generale: nel 2008 ogni infante ospite nei nidi di Bologna è costato mediamente, di sola gestione, escluso l’ammortamento del capitale investito, 12.500 euro di cui circa 2.200 recuperati con la tariffa. Tutta l’attenzione di utenti e media è focalizzato sul secondo dato, come se 10.300 euro di costo a carico della fiscalità generale non esistessero. E’ possibile che un servizio utilizzato essenzialmente dalle famiglie dove entrambi i genitori lavorano costi quasi quanto l’intero salario netto di uno dei due? (non parliamo quando il genitore è solo). Oltre a cercare ulteriori risorse non dovremmo anche esaminare la possibilità di abbattere il costo? Notiamo che nello stesso anno, a Reggio Emilia, città nota in tutto il mondo per l’altissimo livello dei suoi servizi per l’infanzia, lo stesso è stato di 9.200 euro. Le ragioni sono in parte organizzative ed in parte storiche, ma non è questa la sede per esami puntuali. La differenza, però, è non disprezzabile, il 28% in meno, ed aumenta nel tempo, nel 2000 era del 22%. Quanto meno c’è da chiedersi cosa impedisca alla Regione di istituire un osservatorio costi dei servizi che registri i comportamenti virtuosi, le best practices, e li divulghi, o, meglio, li imponga a tutti gli altri enti. Che il costo medio dei servizi alle persone cresca tendenzialmente più della produttività fino a diventare insostenibile non è una novità, i paesi che hanno conosciuto il welfare prima di noi lo sanno bene, lo stesso osservatorio potrebbe importare da loro nuovi modelli organizzativi. Credo sia nell’interesse di tutti, cittadini, utenti, lavoratori dei servizi ed amministratori collaborare per invertire questa tendenza ad ignorare il rapporto costi/benefici, unica alternativa al taglio dei servizi o ad un aumento vertiginoso delle tariffe.

Paolo Serra

 

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