Rispolveriamo il progetto della diga di Castrola
Che dalle nostre parti ogni 15/20 anni si registri un’abbondante nevicata anche a basse altitudini non è proprio una novità. Anzi, chi, come me, è nato sotto i bombardamenti, ricorda un’infanzia con inverni regolarmente nevosi culminanti nello spettacolare 1956 quando, ancora a metà marzo, i fornici dei portici erano colmi di neve spalata. Quasi tutti i miei coetanei possedevano uno slittino auto costruito con rottami vari ed a Porta San Vitale il rudere di un palazzo bombardato fino alle cantine diveniva una emozionante pista, un po’ troppo pericolosa peraltro, ma chi avrebbe mai potuto fermare la nostra orda di selvaggi urbani. Il fatto è che il traffico era composto quasi esclusivamente di pedoni, ciclisti e tramvie e le strade non dovevano ospitare decine di migliaia di automobili ferme ai lati che rendono complicata, a volte fisicamente impossibile, la rimozione della neve in eccesso. In questi casi bisognerebbe consentire la circolazione solo ai mezzi pubblici ed ai rifornimenti alimentari ma quale mai Sindaco avrebbe il coraggio di emanare una simile ordinanza? e le forze per farla rispettare, poi? Il fatto è che, oramai, viviamo in una cultura che ha eliminato il concetto di giorno e notte e quello di stagioni, teniamo le luci accese anche nelle stanze vuote ed illuminiamo anche i parchi chiusi di notte, pretendiamo di avere eternamente 22 gradi ovunque e che non piova mai ma, contemporaneamente, non manchi mai l’acqua. Per questo stiamo bruciando in poche decine di anni combustibili fossili che la natura ha seppellito nel ventre della Terra in milioni di anni restituendo all’atmosfera l’anidride carbonica, ed anche parte del metano, gli ormai famosi gas serra. Il vero problema che abbiamo di fronte è la progressiva accelerata tropicalizzazione del nostro clima e del nostro habitat. Chi aveva mai visto un pesce palla fuori da un acquario? Ed alghe tropicali attaccare le praterie di pelargonie tipiche del Mediteraneo e la Vongola Verax occupare l’ambiente della nostre vecchie “poverazze” e “lupini”? I giovani manco ne conoscono il nome. E l’olivo tornato ad attecchire sui nostri colli dopo secoli? Questo vuol dire, temperature medie in aumento, prolungate siccità, rovesci di pioggia brevi ed intensi, a volte catastrofici. Quell’alternanza di siccità ed inondazioni che sta diventando ormai una consuetudine che è destinata ad aggravarsi. C’è molto da fare, e cose non utili per l’autoglorificazione dei politici come ponti, tunnel e grattacieli. Si tratta prima di tutto di imparare a risparmiare l’acqua potabile, e non solo nelle nostre case ma, soprattutto, nelle campagne e nelle industrie, pagandola al prezzo di un bene scarso e non a quello di una fonte inesauribile. Si tratta di rispolverare progetti abbandonati di invasi che la conservino il più possibile in quota per poi erogarla quando è necessario. La diga di Castrola, il cui progetto è stato abbandonato nel 2003 per un malinteso ambientalismo, può essere il punto di partenza di un piano generale della conservazione delle acque dell’Appennino emiliano-romagnolo. Non c’è molto tempo da perdere, nel settembre scorso abbiamo rischiato i turni nell’erogazione dell’acqua, in novembre la secca del Navile ha provocato la moria dei pesci, nell’estate prossima l’acqua ad ore potrebbe diventare realtà anche nella nostra Regione, e non possiamo contare sul Pò che non ha problemi molto diversi dai nostri fiumi appenninici.
A proposito di “neve e siccità” di Paolo Serra, l’Unità 12/02/2012
Nell’articolo vi sono varie interessanti considerazioni più o meno legate al cambiamento climatico e alla crisi ambientale. Alla fine si recupera la vecchia proposta di una ennesima diga sulle montagne bolognesi, la diga di Castrola. La conclusine a cui si arriva ci pare un po’ superficiale e ci permettiamo alcune considerazioni.
Intanto sarebbe meglio non tirare in ballo “un malinteso ambientalismo” che poco c’entra con i movimenti di cittadini contrari alla diga e nemmeno con la scelta delle Istituzioni bolognesi di non approvare la scelta di Castrola. La Regione ha stimato per il territorio bolognese – considerando anche problemi di cambiamento climatico – una deficit idrico di circa 20 milioni di metri cubi (ovvero acqua che dovremmo lasciare nei fiumi e nelle falde ogni anno per preservare il territorio) in gran parte da colmare attraverso la razionalizzazione dei sistemi idrici e il risparmio d’acqua. La cifra corrisponde a meno del 10% del consumo idrico complessivo nella Provincia (somma dei consumi dei settori civile, agricolo e industriale). Ed è circa pari alle perdite della sola rete acquedottistica potabile. Sappiamo che i dati complessivi possono mascherare i problemi, ma pensare ad una diga dai costi di costruzione e manutenzione elevatissimi per non avere voglia di risparmiare il 10% dell’acqua consumata ci pare spropositato. Forse la società bolognese non ha la capacità di raggiungere questo obiettivo? Noi preferiamo scommettere sulle capacità e sulla intelligenza dei Cittadini della provincia di Bologna piuttosto che su una ulteriore artificializzazione del sistema idrico. Il risparmio idrico è il simbolo e la concretezza di un modo razionale di utilizzare le risorse naturali, attorno a cui riorganizzare lo sviluppo delle attività umane.
Aggiungiamo che, pur con grave ritardo, è stata costruita la condotta Reno-Setta in modo da migliorare l’alimentazione della Centrale di potabilizzazione a Sasso Marconi e così ridurre le criticità di approvvigionamento. Mentre la diga di Ridracoli, in Romagna, negli ultimi anni è andata spesso “a secco” dimostrando di non essere quella gran soluzione che si racconta. Per non dire che prima di pensare ad una nuova diga, forse converrebbe verificare il funzionamento non proprio ottimale del sistema delle 5 dighe già presenti nel territorio bolognese (Suviana e altre più piccole, fra loro collegate).
Ricordiamo che nelle proposte da tempo e più volte presentate agli Amministratori Pubblici da parte dei movimenti a tutela dell’acqua, c’è quella di ridare spazio ai fiumi per permettere loro di svolgere la funzione fondamentale di dare acqua al territorio e alimentare le falde (evitando anche la subsidenza della bassa bolognese). Così i fiumi e le falde possono tornare ad essere serbatoi d’acqua buona. Ovvero, come sostengono anche la scienza e la tecnica più attente alle relazioni società-ambiente, le opere su cui impegnare le collettività sono risparmio, manutenzione del territorio, ricostituzione delle funzioni del sistema idrico naturale. Potremmo dire un restauro ecologico del territorio.
Massimo Pancaldi
Caro Pancaldi,
ciò che scrivi è tutto molto giusto, tuttavia temo che la diagnosi dei 20 milioni di mc sia un po’ datata e, soprattutto, basata su stime e tempi di precipitazioni che non corrispondono più al trend attuale. Credo che occorra cercare di mantenere più acqua possibile in quota per usarla quando è necessario. Si può risparmiare solo l’acqua che c’è. Castrola è solo un esempio di un problema generale causato da un regime delle acque che da continentale-temperato sta diventando tropicale.
Paolo Serra
Riletto oggi, nel 2017, durante un periodo di siccità tra i più acuti mai registrati, è difficile ragionare solo sui dovuti, assolutamente dovuti risparmi. Non solo, andrebbero fin da ora (già da allora) incentivate anziché rese impossibili, le raccolte di acqua piovana nelle singole tenute, abitazioni.
Mediamente il 51% dei consumi nazionali è dovuto all’agricoltura con metodologie arcaiche come a perdita o a pioggia. Il passaggio a tecniche più moderne, vedi Israele, comporterebbe risparmi altissimi, ma anche un grosso sforzo in investimenti privati che pootrebbero essere agevolati fiscalmente. Anche le perditte di rete sono imponenti ma non sono lavori pubblici che colpiscano l’immaginario degli elettori. Purtroppo i media sono fissati con il consumo domestico, 20%, i cui risparmi, se pur doverosi sono risibili.
Caro Paolo, intanto sarebbe interessante sapere se gli obiettivi del Piano della Regione sono stati raggiunti. Sarebbe stato il caso che fossero assunti dalla società nel suo complesso, Cittadini, Istituzioni, Imprese (in particolare quelle che usano quantitativi enormi di acqua) e magari anche dagli Amministratori tutti. Perché un punto è proprio questo: abbiamo una classe dirigente capace di creare consenso attorno a obiettivi di sostenibilità? Se quella che c’è non è in grado (come mi pare), di certo non conviene affidare a lei la soluzione (per altro credo fittizia), con l’opera che dovrebbe risolvere i problemi.
Nello specifico occorre ricordare che larga parte dei sistemi naturali per raccogliere e mantenere l’acqua in quota sono stati distrutti o fortemente compromessi (con grave perdita di sorgenti e alimentazione dei fiumi) dalla ferrovia per la TAV e dalla Variante autostradale di valico (altro notevole risultato della logica delle grandi opere).
Vado a memoria, ma non mi pare che i volumi che sarebbero invasabili dalla diga di Catrola potrebbero essere una sicurezza in caso di scarse piogge, la diga di Ridracoli – in questi anni spesso vuota – insegna proprio che non ci si può affidare a queste soluzioni. Occorre ricare la falde, quella grandi che stanno allo sbocco dei fiumi in pianura, dando spazio ai fiumi, ricostruendo gli ambiti fluviali e pemettendo di far tornare e rimanere l’acqua nel territorio. La diga di Castrola sarebbe solo l’ennesima foglia di fico sulle nostre incapacità di saper vivere senza devastare le nostre stesse basi di sussistenza. Proprio per l’incertezza climatica che ci attende abbiamo bisogno di sistemi più sicuri e capaci di reagire alle modifiche che si prospettano e questi sono proprio i sistemi naturali, che però sono stati rovinati. Il compito che abbiamo è ripristinarli, non fare dighe.
chi è massimo pancaldi
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