“Scuola, i problemi che il referendum lascia irrisolti” l’Unità del 2- giugno 2013 paolo serra

scuola infanzia bologna

Un referendum ideo-illogico

Verso la metà degli anni 90, stanti le reiterazioni dei tagli ai bilanci degli enti locali perseguite dai vari governi nel vano tentativo di contenere il deficit pubblico, che continuano tutt’ora, gli amministratori del Comune di Bologna giunsero alla consapevolezza che non sarebbero più riusciti a mantenere l’altissimo livello complessivo dei servizi raggiunto nel corso del ventennio precedente, neppure applicando al massimo quel po’ di fiscalità locale concessa. Ovviamente i problemi più gravi sorsero nei settori dove il Comune surrogava le carenze del governo centrale: la domanda di scuola dell’infanzia non confessionale era, allora, completamente soddisfatta da risorse comunali. Le strade intraprese per non far mancare un servizio essenziale per le famiglie e per i bambini in età pre-obbligo furono le uniche possibili alternative a quella di far pagare il servizio agli utilizzatori, che a tutt’oggi, rimborsano solo il costo della mensa: trattare con il governo l’apertura di scuole statali, cercare di far entrare le scuole private nel circuito cittadino vincolandole ad adeguati standard edilizi e didattici. La prima operazione ha cozzato duramente contro le difficoltà del bilancio statale ed ha lasciato un ampio squilibrio nei confronti di tutte le altre città italiane, la seconda ha portato a risultati a macchia di leopardo, eccellenti ad es. a Lame e Corticella, non altrettanto in altre zone dove gli standard sono raggiunti chiudendo un occhio, o due, malgrado la revisione dell’accordo fatta nel 2008 che abbandonava la politica del contributo uguale per tutti per differenziarlo, non molto però, a seconda della bontà delle pratiche. Il risultato attuale lo conosciamo, non sarà il massimo dell’eccellenza, ma consente la risposta ad un bisogno che corre il rischio di rimanere inevaso in modo crescente. Ma, si sa, la realtà pragmatica non è mai pari alla idea concettuale che è perfetta di per se stessa. Per questo il referendum del 26 maggio è apparso illogico, o, quantomeno, incongruo. Le due poste di bilancio non sono in contrapposizione ma contribuiscono entrambe alla medesima finalità, sfugge la ragione per cui il Comitato dei garanti lo abbia convalidato e, per me, la mancata risposta dei cittadini è stata giusta.

 

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