“Scuola di politica o di democrazia?”

Da almeno una trentina d’anni, uno dei problemi più grossi dei partiti, forse la base di tutti i problemi, sta nella selezione dei  dirigenti e dei candidati alle cariche pubbliche. E’ naturale che organismi o strutture, in mancanza di sollecitazioni esterne, tendano inevitabilmente a replicarsi sempre il più possibile uguali a se stessi. I partiti, ma non solo, anche le aziende, l’università, l’intera compagine sociale restano paralizzati dal conformismo, unico metro di misura accettato. Finita la leva della lotta contro il nazi-fascismo tutte le democrazie hanno conosciuto un decadimento morale e culturale dei loro esponenti politici. Fra i rappresentanti ed i rappresentati si registra un distacco crescente dovuto certamente, anche se non solo, alla difficoltà di selezionare personale politico adeguato, sia per personalità sia per capacità di interpretate le variazioni dell’ambiente sociale. Questo è ancora più grave per i partiti della sinistra, o comunque progressisti, che sono pressoché l’unico strumento a disposizione degli strati sociali che rappresentano, mentre destre e conservatori rappresentano strati che, possedendo a ridondanza rappresentatività economica e sociale, possono tranquillamente fare anche a meno di quella politica (gli va bene chiunque, basta che non tocchi i loro interessi). Proprio per affrontare questa debolezza, direi genetica, il PD ha iniziato ad utilizzare lo strumento delle “primarie”, più o meno aperte, con procedure molto incerte ed esiti incostanti, mentre si sarebbe dovuto copiarle integralmente da chi le ha sempre usate. Primarie che, comunque, hanno fatto entrare fiotti di aria fresca, o, almeno, diversa, nel partito e nelle istituzioni. Ma le primarie, come le preferenze, più che la capacità politica misurano la popolarità individuale (non necessariamente la stessa cosa) e restano sempre a grave rischio di essere contaminate da eccessi deteriori di populismo più o meno spicciolo. Ora il segretario del PD bolognese, propone di ripristinare, in forma aggiornata, le mitiche “Scuole di Partito” del PCI, indispensabili negli anni 50 per alfabetizzare centinaia di quadri armati più che altro di buona volontà e coscienza di classe. Propone una “Scuola di Politica”, con accesso per concorso e tanto di esaminatori. In tutta franchezza faccio un po’ fatica a pensare che la “politica” possa essere imparata attraverso una scuola. La politica si vive direttamente sul campo. Inerisce, come sappiamo, molto più i sentimenti che la ragione, ed i sentimenti forse si potranno insegnare ma certamente non si imparano, si vivono. Spero che la stampa abbia per obbligo di concisione equivocato e frainteso fra politica e democrazia. Questa sì che andrebbe imparata in una scuola apposita! Ho la sensazione che, da molti anni, troppi che sono “entrati in politica” non siano molto avvezzi ai fondamentali della democrazia, pilastri della nostra Costituzione. Divisione ed equilibrio dei poteri, rispetto reciproco fra maggioranze e minoranze, etica personale come prerequisito, concetto di “bene comune” diverso dalla somma della utilità individuali o di gruppi, mi sembra che, anche dalle nostre parti, purtroppo, abbiano ceduto troppo il passo a “lotta con ogni mezzo per acquisire potere” ed “uso del potere per fini ed interessi personali”. Se sarà questa la scuola di cui parlano  Raffaele Donini, e Giorgio Galli, una sicurezza in proposito, ben venga, ma, attenzione a non creare una leva di professionisti che possano, con la stessa efficacia, sposare qualsiasi causa e sostenere qualsiasi tesi o, peggio, una nuova generazione di conformisti, questa volta addirittura patentati.

Paolo Serra

pubblicato il 3 giugno 2011 sull’Unità di Bologna

 

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