Primarie Pd, come evitare le controindicazioni – paolo serra l’Unità 6 gennaio 2013

Primarie: una medicina con controindicazioni

Le primarie, si sa, sono una medicina contro la debole capacità dei partiti di selezionare il meglio per le cariche pubbliche, debolezza organica che deriva dalla fisiologica resistenza al cambiamento di ogni tipo di struttura. Come tutte le medicine vanno prese nei tempi, modi e quantità giuste e stando bene attenti agli inevitabili effetti collaterali, che non sono certo un mistero. Si sa che il micropopulismo radicato in un territorio, in una organizzazione, o in una professione giusti batterà naturalmente le professionalità o le capacità individuali. Un calciatore vincerà sempre contro un pattinatore a rotelle, un cardiologo o ginecologo, batterà sempre un dentista, un operatore sociale batterà sempre un ricercatore universitario, un esponente di partito che inizia la campagna un anno prima degli altri batterà sempre chi si è deciso a partecipare alla data ufficiale. Quando si è malati, però, e mi sembra che nessuno possa negare che il sistema partiti sia malato,  in Italia più che nel resto del mondo, si deve prendere la medicina anche se è amarognola e, magari, ha qualche spiacevole controindicazione. Le proteste di chi ha voluto le primarie parlamentari con tutte le forze ed ha imposto regolamenti di protezione per supposte minoranze di genere mi paiono tutte fuori luogo, se un partito non rispetta regole e patti che si è dato che tipo di fiducia può chiedere agli elettori sul rispetto di patti e regole all’interno delle istituzioni? Se, poi, come pare, la regola dell’alternanza di genere si applica a Modena e si disattende a Bologna, per qualsiasi buona o cattiva ragione, il minimo che ci si possa aspettare è una benevola accusa di “confusione”…

Peraltro i problemi della rappresentatività perfetta e dell’eccesso di viscosità dei corpi eletti è millenario e mai risolto. Gli ateniesi, ma anche, comuni rinascimentali come Bologna, Firenze e la repubblica di Venezia, addirittura estraevano a sorte i componenti delle assemblee civiche per garantirsi il ricambio ed abbassare il livello di “affezione” degli individui al potere dato dalle cariche pubbliche. Anche oggi abbondano gli studi socio-politici sulla maggiore efficienza complessiva di una istituzione, ma anche di qualsiasi struttura umana complessa, dove una parte dei componenti sia scelta dal caso e non da elezione o cooptazione. Nel mondo anglosassone ne stanno discutendo seriamente… Per chi vuole approfondire consiglio la lettura dell’articolo “L’efficienza del caso” sulla rivista  “Le Scienze” gennaio 2013 che condensa il libro “Democrazia a sorte” degli stessi autori (ed. Malcor – Catania 2012).

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