“Il Tao e la via per un’intesa possibile” Paolo Serra l’Unità 1 marzo 2013

Bersani le 5Stelle e il Tao

(Riforme se non ora quando?)

Il  Tao ( la Via, o il Sentiero, della Saggezza, uno dei fondamenti della plurimillenaria filosofia cinese) insegna che da cosa cattiva può venire cosa buona, e da cosa  buona può venire cosa cattiva. Perché, allora, negarsi di pensare, e di lavorarvi attivamente, che dal pessimo risultato elettorale non possa uscire  un monocolore Bersani appoggiato dall’esterno dai deputati grillisti (perché chiamarli grillini? che c’entra un diminutivo?) Il 5Stelle non è, e non vuole affatto diventare, un partito, bensì intende restare un movimento e come tale non accetterebbe dichiarazioni di alleanze formali, ministeri o altro, al massimo cariche istituzionali. Però potrebbe accondiscendere ad un appoggio esterno davanti ad un pacchetto di vere riforme concrete: messa sotto controllo della evasione fiscale abbassando la soglia dei contanti, imposizione patrimoniale a scalare per 5 anni fino ad una più equa ripartizione dei carichi, velocità della giustizia civile e certezza della  penale, conflitto d’interessi, legge elettorale con collegi uninominali per costringere i partiti a selezionare i migliori candidabili, senato delle regioni con compiti limitati alle materie specifiche, salario di cittadinanza come ovunque in U.E. tranne noi e la Grecia…, magari Rodotà o Zagrebelski od Onida, al Quirinale (se i filo montiani del PD lo permettessero…) e niente Tav o Ponti di Messina o F35 malfunzionanti (ed anche robe bolognesi tipo people mover…). In fin dei conti i 109 deputati ed i 54 senatori dovranno pur rispondere agli 8 milioni di loro elettori. Sono stati eletti per fare una gita turistica in visita al Parlamento o per lavorare, sodo, al fine di far uscire il paese dalla spaventosa crisi, prima di tutto morale, che lo attanaglia? Per il PD, in teoria, pochi problemi, si tratterebbe solo di concretizzare, alla buon’ora, molte di quelle belle intenzioni che ne riempiono i programmi da vent’anni e che non sono mai state attuate, e non lo sarebbero da qualsiasi altra coalizione possibile.Forse, però, qualcuno degli estensori sperava in cuor suo di esserne impedito…. Al cavalier Berlusconi ed al professor Monti, comunque, una semplice risposta: “Grazie, abbiamo già dato.” Resta ad ogni modo insopportabile che governare senza la maggioranza dei consensi elettorali sia considerato sconveniente in Italia mentre è pratica consueta nei grandi paesi dell’U.E. dove né gollisti, né socialisti, né laburisti, né conservatori, ne democristiani hanno mai raggiunto il 51% dei votanti eppure governano in alternanza nientemeno che Francia, Gran Bretagna e Germania senza che venga considerato uno scandalo…

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4 pensieri su ““Il Tao e la via per un’intesa possibile” Paolo Serra l’Unità 1 marzo 2013

  1. Convengo che il monocolore con appoggio esterno sia l’unica alternativa possibile. E , quale presidente del Consiglio, non vedo che Bersani, l’unico uomo politico del PD che sia anche uomo di Governo abile e rispettato, oltreché di un’onestà a tutta prova. Una situazione del genere potrebbe addirittura rafforzarlo nei confronti delle fronde interne al suo partito. Bersani farebbe davvero le riforme e farebbe pulizia, perché vuole davvero cambiare il Paese e soprattutto mette al primo posto la questione morale. Per la riforma elettorale io tornerei comunque al proporzionale, con preferenze (meglio) ma mi accontenterei anche dei collegi uninominali e del metodo D’Ont. Il punto sostanziale è comunque che il voto di ciascuno deve tornare a valere uno, e non un valore imprecisato tra O e 23. e che si riproponga una scelta vera

    • Il proporzionale è improponibile per due ragioni, la rendita di posizione di qualsiasi piccolo partito centrista (ricordi la vecchia politica dei due forni?) e la mai scalfita angoscia identitaria delle sinistre eternamente scissioniste. Le preferenze, cancellate da un oceanico referendum, si prestano troppo a “martigale” fra candidati e selezionano il piccolo populismo locale. Nella nostra situazione non c’è che il collegio uninominale che costringe i partito alla concorrenza sulla qualità dei candidati. Può essere a due turni, come in Francia, o anche a turno unico come in Australia dove si può indicare una seconda opzione nel caso nessuno abbia la maggioranza con la prima, ma credo che sarebbe troppo innovativo per l’Italia.

      • Continuo a non essere d’accordo. I collegi uninominali, e me li ricordo bene perché così funzionava l’elezione per il Senato, obbligavano gli elettori a scegliere il candidato imposto dal partito d’appartenenza, anche quando non gli piaceva affatto come persona. Quanto ai piccoli partiti, non ne ho mai visti tanti quanti nelle recenti elezioni. Tu dici: vabbè noi ci mettiamo la soglia di sbarramento e li facciamo fuori. Ma questo, amico mio caro e stimato, non è molto democratico. Arriviamo alle preferenze. Sono contestate perché darebbero luogo a brogli: ebbene, è forse spariro il voto di scambio o il voto comprato? L’unica cosa sparita è la libertà di scelta degli elettori. Senza contare che il nostro è un Paese molto particolare, estremamente politicizzato e che mal sopporta questo genere di violenze (Se non la conosci, ti inviterei a leggere la voce Forme di Stato -o di governo (la mia memoria a volte falla)- del compianto Leopoldo Elia su l’Enciclopedia del Diritto). E credo che fenomeno quali l’astensione dal voto e .la recente esplosione del grillismo dipendano prpprio dal fatto che la gente ( anzi nessuno, me compresa) non si sente davvero rappresentata da partiti arlecchino costretti nel letto di Procuste di un bipolarismo forzato, quanto inefficace e che inoltre ha prodotto danni incommensurabili al Paese (Vedi 20 anni di Berlusconismo).

    • Luisa Marchini il 2 marzo 2013 alle 11:08 scrive:
      Il commento è in attesa di moderazione.

      Convengo che il monocolore con appoggio esterno sia l’unica alternativa possibile. E , quale presidente del Consiglio, non vedo che Bersani, l’unico uomo politico del PD che sia anche uomo di Governo abile e rispettato, oltreché di un’onestà a tutta prova. Una situazione del genere potrebbe addirittura rafforzarlo nei confronti delle fronde interne al suo partito. Bersani farebbe davvero le riforme e farebbe pulizia, perché vuole davvero cambiare il Paese e soprattutto mette al primo posto la questione morale. Per la riforma elettorale io tornerei comunque al proporzionale, con preferenze (meglio) ma mi accontenterei anche dei collegi uninominali e del metodo D’Ont. Il punto sostanziale è comunque che il voto di ciascuno deve tornare a valere uno, e non un valore imprecisato tra O e 23. e che si riproponga una scelta vera agli elettori.

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